L’idea di un’architettura moderna nel XIX secolo
- info tobim
- 26 feb
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Sebbene la fase cruciale di sintesi abbia avuto inizio tra il XIX e il XX secolo, l’idea di un’architettura moderna era presente da oltre mezzo secolo. I revival venivano considerati inadeguati e si avvertiva l’esigenza di trovare uno stile autentico che rispecchiasse il proprio tempo, poiché le costruzioni del passato potevano rispondere solo alle necessità dell’epoca in cui erano state realizzate. Inoltre, si verificò una progressiva perdita di fiducia nella tradizione rinascimentale.
Uno degli elementi determinanti per lo sviluppo dell’architettura moderna fu la Rivoluzione industriale, che trasformò il modo di vivere sia nelle campagne che nelle città. Furono costruite stazioni ferroviarie, insediamenti periferici e grattacieli, mentre l’industrializzazione modificò radicalmente il mondo dell’artigianato, accelerando il declino delle tradizioni vernacolari. Questo processo portò alla nascita di nuove istituzioni, come musei, teatri, biblioteche, palazzi governativi, banche, casinò, tribunali e prigioni, oltre a edifici destinati alle autorità coloniali. Accanto a queste strutture pubbliche, emersero nuove tipologie di edifici legate al commercio e alla produzione industriale, come fabbriche, stabilimenti, mercati, grandi magazzini e grattacieli.
Nel 1820, Karl Friedrich Schinkel progettò a Berlino monumenti neoclassici ispirati all’ideale greco per il moderno Stato di Prussia. Verso la fine del XIX secolo, le nuove tecnologie in ferro e vetro acquisirono una forte capacità espressiva, come dimostra la Tour Eiffel, realizzata per l’Esposizione di Parigi del 1889. I sistemi costruttivi tradizionali furono progressivamente sostituiti da strutture standardizzate in ferro, vetro e acciaio, mentre la produzione industriale determinò il trasferimento della popolazione rurale verso le città.
L’architettura dell’epoca fu influenzata dalle critiche morali e politiche emergenti. Alcuni movimenti, come il radicalismo cristiano, rifiutavano la frammentazione e la brutalità del mondo moderno, proponendo un ritorno alle società medievali. Altri, come i socialisti utopisti Charles Fourier e Henri Saint-Simon, immaginavano invece un futuro caratterizzato da un ordine sociale razionale e armonioso.
Già prima che l’architettura moderna diventasse una necessità, numerosi teorici avevano anticipato le sue condizioni di sviluppo. Nel 1828, Heinrich Hübsch aveva delineato un quadro obiettivo per un nuovo stile architettonico, mentre tra il 1830 e il 1840 Schinkel sosteneva la realizzazione di edifici privi di filtri stilistici, pur opponendosi a un funzionalismo privo di dimensione storica e poetica. Gottfried Semper, pur diffidando di un totale distacco dal passato, metteva in guardia contro la mera imitazione servile.
Tra il 1860 e il 1870, Eugène Viollet-le-Duc elaborò una visione della storia dell’architettura che combinava l’espressione autentica della costruzione e dei materiali con un’idea di progresso storico. La sua riflessione divenne sempre più consapevole dell’impatto dei nuovi materiali, come il ferro e il vetro. Alcuni architetti cercarono di superare il dilemma stilistico fondendo elementi tratti da diverse genealogie. Sebbene l’eclettismo non fornisse regole precise per la combinazione degli stili, se ben realizzato, poteva rappresentare uno strumento di trasformazione efficace.
Nel XIX secolo furono realizzate opere architettoniche di grande valore, prive di un’uniformità stilistica rigida. La Bibliothèque Sainte-Geneviève di Henri Labrouste a Parigi, costruita tra il 1843 e il 1850, rappresentava una sintesi riuscita tra forma e contenuto. Al contrario, il Foreign Office di George Gilbert Scott a Londra soffriva di un’incapacità di trasformare i modelli tradizionali in una nuova espressione convincente. Architetti come Schinkel, Labrouste e Henry Hobson Richardson riuscirono ad analizzare e reinterpretare i principi degli stili storici.
A partire dalla metà del XVIII secolo, il primitivismo emerse negli scritti dell’abate Marc-Antoine Laugier, il quale individuava l’origine dell’architettura nell’archetipo della capanna primitiva, considerata la matrice da cui si erano sviluppati gli elementi ornamentali del sistema classico. Laugier negava l’esistenza di regole assolute e rifiutava il concetto di buon gusto, sostenendo che le migliori forme architettoniche derivassero da esigenze strutturali e funzionali.
Viollet-le-Duc, pur appartenendo alla tradizione razionalista, si differenziava da Laugier attribuendo maggiore valore agli esempi medievali rispetto a quelli classici, considerandoli più autentici dal punto di vista espressivo. Egli sviluppò un metodo di analisi intellettuale del passato, proponendo progetti che combinavano elementi storici con tecniche costruttive moderne. La sua opera contribuì a conferire nuovo prestigio alle forme vernacolari e stimolò l’interesse per gli stili pre-rinascimentali.
Anche nel XVIII secolo si diffusero schematizzazioni storiche basate su principi geometrici, come quelle di Claude-Nicolas Ledoux e Étienne-Louis Boullée, mentre Friedrich Gilly esplorava l’essenzialità strutturale riducendo l’architettura a pilastri e travi fondamentali.
Alla fine del XIX e all’inizio del XX secolo, gli architetti svilupparono una serie di teorie e concetti volti a definire il proprio ruolo professionale, richiamandosi sia alla natura che alla tradizione. Sebbene la tradizione non fosse completamente abbandonata, l’adesione ad essa risultava spesso superficiale, segnando il passaggio verso una nuova era dell’architettura.
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